Le operazioni di raccolta del materiale biologico, svolte accedendo a luoghi pubblici o aperti al pubblico, sono valide se realizzate «nel pieno rispetto della libertà personale e della dignità del soggetto», sebbene a sua insaputa.
A dirimere la questione sulla possibilità di prelevare le tracce di DNA da una tazzina di caffè, da un cucchiaino o da una bottiglietta di plastica è stato il Tribunale di Milano, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, con una decisione del 22 settembre 2020. In sostanza, il GIP ha ritenuto lecite le investigazioni difensive osservando, nel caso sottoposto al suo giudizio, che
la raccolta di materiale biologico “ha in concreto riguardato oggetti utilizzati ed in seguito abbandonati dal soggetto: il materiale prelevato, pertanto, non faceva più parte della persona dell’interessato e non ha comportato alcun atto coercitivo o forzoso nei suoi confronti”.
La decisione si pone in linea con una vasta giurisprudenza che «afferma che quando il materiale biologico sia ormai separato dalla persona e sia ricavabile da oggetti come bicchieri, mozziconi di sigaretta o bottiglie
abbandonate, divent ando res derelicta, l’attività di prelievo non richiede alcun intervento coattivo/manipolativo sul soggetto e deve considerarsi, pertanto, legittima anche senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria».
Fonte: AICIS