Non è un adempimento contrattuale ma una truffa, commessa online, “la messa in vendita di un bene su un sito internet, accompagnata dalla mancata consegna del bene stesso all’acquirente, posta in essere da parte di chi, falsamente, si presenta come alienante con il solo proposito di indurre la controparte a versare una somma di denaro e a conseguire, quindi, un profitto”. A dirlo è la Seconda Sezione della Cassazione nella n. 21932 del 22 luglio 2020. La decisione, tra l’altro ricalca una precedente statuizione che con sentenza 20 dicembre 2019 n. 51551 giungeva alle medesime conclusioni. Sotto la lente della giurisprudenza finiscono sempre di più i reati informatici che riguardano gli illeciti penali commessi “contro” i sistemi informatici e quelli, come nel caso delle truffe online, commessi “per mezzo” della telematica.
Secondo i dati forniti dalla Polizia Postale nel 2019 sono stati 9 mila i delitti informatici denunciati, 1.181 gli attacchi di hacker ai sistemi informatici di aziende ed enti che rappresentano degli “interessi strategici nazionali”, 91 i siti e le pagine rimossi per cyberterrorismo. E’ significativo, nel quadro statistico del fenomeno, l’aumento dei minori denunciati per cyberbullismo.
Per quanto riguarda in particolare il fenomeno delle truffe online si registra un incremento del numero di denunce: oltre trentamila denunce nel 2018 (più di 250 ogni 100.000 abitanti) con una crescita di oltre il 50% rispetto al 2010 (primo anno del fenomeno monitorato dall’Istat). Le frodi informatiche per numero di denunce, superano i furti d’auto. A proposito delle truffe online la Cassazione (sentenza 6 settembre 2018 n. 40045) ha stabilito che l’utilizzo della rete da parte dei truffatori rappresenta un’aggravante del reato. Secondo i giudici: “In tema di truffa on-line, è configurabile l’aggravante della minorata difesa, con riferimento all’approfittamento delle condizioni di luogo, solo quando l’autore abbia tratto, consapevolmente e in concreto, specifici vantaggi dall’utilizzazione dello strumento della rete”.
Chiarisce ancora meglio la sentenza n. 17937 della sezione VI, del 10 aprile 2017:
nella truffa commessa attraverso la vendita di prodotti online – ha stabilito la Corte – “è configurabile l’aggravante di cui all’art. 640, comma 2, n. 2-bis, c.p., con riferimento al luogo del commesso reato, in quanto il luogo fisico di consumazione della truffa (individuabile nel luogo in cui l’agente consegue l’indebito profitto) in tal caso possiede la caratteristica peculiare costituita dalla distanza che esso ha rispetto al luogo ove si trova l’acquirente che del prodotto venduto, secondo la prassi tipica di simili transazioni, ha pagato anticipatamente il prezzo. Proprio tale distanza tra il luogo di commissione del reato da parte dell’agente e il luogo dove si trova l’acquirente è l’elemento che pone l’autore della truffa in una posizione di forza e di maggior favore rispetto alla vittima, consentendogli di schermare la sua identità, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun controllo preventivo da parte dell’acquirente e di sottrarsi comodamente alle conseguenze dell’azione: vantaggi, che non potrebbe sfruttare a suo favore, con altrettanta facilità, se la vendita avvenisse de visu”.
Fonte: AICIS